GIUSEPPE DE VENA: “MENESTRELLO” E SCRITTORE PONTINO
di Giovanni Berardi
Il recente Sanremo non ha proprio entusiasmato il cantautore pontino Giuseppe De Vena. Anzi lo ritiene ormai, piuttosto e solamente, un ruffiano spettacolo televisivo tutto dedito a sostenere e a promuovere “prodotti” per il commercio e a forgiare soprattutto i famosi “consigli per gli acquisti”. Dice Giuseppe De Vena: “ma parlare di canzoni per me, paradossalmente, oggi come ieri, è sempre difficile. L’emozione che genera un brano è uno stato assolutamente soggettivo. Io posso parlare di esecuzione, di arrangiamento, di interpretazione. Quest’anno ho notato soprattutto molta scena, in particolare negli abiti e nel trucco. Io resto sempre un fan di Giorgia però questa volta non mi ha affatto emozionato. Ma devo dire però che il suo era un brano davvero difficile. Poi, per il resto, questo Festival della canzone italiana è stato noia”. Oggi in casa non è facile trovare un nuovo disco di Giuseppe De Vena, anzi praticamente è proprio impossibile dato che Giuseppe De Vena sono anni ormai che non entra in uno studio per incidere un proprio lavoro. Spesso la gente, dopo una sua esibizione, lo avvicina e gli chiede dove poter trovare le sue canzoni più recenti e lui sempre serafico risponde: “devi solo venire nei luoghi e nei palcoscenici dove mi esibisco, proprio come hai fatto questa sera”. Giuseppe De Vena ha all’attivo ormai quasi cinquant’anni di canzoni, la sua poetica davvero ha assorbito molto dal clima musicale e sociale in cui è vissuto e maturato e le sue canzoni hanno tutte un riferimento assolutamente sociopolitico e socioculturale. Oggi in fondo potrebbe essere pronto il suo quattordicesimo disco ma che senso avrebbe produrlo se non vi è più una seria distribuzione sul mercato e quindi una assoluta impossibilità di vendita. E Giuseppe De Vena, alla luce di tale attualità, dice di sentirsi sempre come uno che organizza una cena per quaranta persone e poi invece si ritrova al ristorante solo con sua moglie.
Un esempio ne è Il Sottoscala di Latina dove ad esibirsi spesso sono giovani ma anche attempati signori che hanno alle spalle una serie di dischi autoprodotti ma non hanno mai raggiunto il grande pubblico. I suoi ultimi pezzi,composti in questi giorni e che abbiamo avuto poi l’opportunità e il privilegio, quasi, di ascoltare, “Una pizza da portar via”, “La Ducati” e “Santi in paradiso” ci hanno confermato che davvero con Giuseppe siamo di fronte ad un cantautorato da graffiti vomitato però in una giungla di musica cialtrona. Non ci sono certo tentativi di rinnovare il pentagramma attraverso le canzoni di Giuseppe De Vena, ma è altrettanto vero che sempre sono canzoni che si lasciano piuttosto cullare da una forte lezione di tradizione. Personaggio storico della ribalta romana e pontina Giuseppe De Vena ha portato sul palco, soprattutto tra i gloriosi anni settanta ed ottanta, la sua vena rilassata, la sua poetica profonda ed ironica. I suoi palcoscenici abituali come appunto Il Sottoscala a Latina, l’Arciliuto e L’Asino che vola a Roma, quest’ultimo proscenio poi lo ha visto duettare spesso con Luigi Grechi, fratello “sapiente” del principe, Francesco De Gregori. Negli anni Giuseppe De Vena ha collaborato, offrendo le sue canzoni, che poi solo per cavilli burocratici le cose non si sono concluse nel modo più giusto, ovvero con le incisioni discografiche, per personaggi del calibro di Nino Manfredi, Franco Califano e Pippo Franco. Giuseppe De Vena ha scritto canzoni pensando un po’ sempre alla interpretazione dei vari personaggi che via via gli balenavano in mente, e tra questi anche Gigi Proietti, Alvaro Vitali, Lando Fiorini e Pierangelo Bertoli. Davvero Giuseppe ha sempre avuto l’idea che il suo ruolo nel mondo della canzone era piuttosto quello dell’autore: “voglio scrivere per gli altri” diceva sempre ma puntualmente finiva per cantarle lui, e bene, nelle sue esibizioni sui palchi, in giro quasi sempre nella zona laziale dove Roma, Latina, Anzio e Nettuno hanno rappresentato le sue piazze ideali, composte sempre, come ci ha detto Giuseppe, da un pubblico maggiore, “un pubblico che non sta attento solo all’industria culturale”, una industria, rispondiamo noi che spesso annacqua e livella le migliori espressioni artistiche. Ma le condizioni che sempre regolano il compromesso tra arte ed industria non girano certo in maniera democratica, ma Giuseppe De Vena continua ad andare avanti ancora “stoicamente” per la sua strada perché in tutti questi anni ha sempre continuato a scrivere canzoni e poi a cantarle negli spazi a lui congeniali. Ci piace pensare a questo punto che Giuseppe ha come valorizzato finalmente una scoperta: che le canzoni che uno scrive bisogna interpretarsele da soli altrimenti possono rischiare di perdere il loro spirito originario. Tra gli spettacoli firmati da Giuseppe anche qualcosa al mitico club del Leone Rosso a Latina, spazio proverbiale del teatro canzone messo su in zona pontina da Sergio Leonardi negli anni ottanta, come era stato appunto lo spettacolo “Stasera ho le mie cose” in cui tra canzoni e barzellette Giuseppe De Vena ha davvero dato il meglio di sé. “Canto soprattutto in difesa dell’umorismo” dice oggi Giuseppe De Vena e bisogna prenderlo assolutamente in parola, perché titoli come “Passami un Kleenex”, “La cosciona di Cassino” o “Il negozio del vino” davvero fanno pensare che le genialità di Enzo Iannacci e di Rino Gaetano, dopo la loro morte, non si sono fermate e che davvero hanno lasciato dietro di loro un proselito autorevole. Le canzoni di Giuseppe De Vena non hanno mai avuto bisogno, nella loro pura semplicità, di strumentisti e nemmeno di strumenti. Basta averlo visto nel corso dei suoi concerti, spesso anche in circuiti non proprio tradizionali, unici alleati un semplice sgabello di legno o una sedia, la chitarra e la sua voce. Piace pensare ancora a Giuseppe De Vena come un battitore libero della canzone, davvero un menestrello, un satiro popolare, ancora legato alla sua epoca giovanile, gli anni settanta. Da anni poi Giuseppe De Vena aveva nel cassetto una storia, questa volta scritta “non in chiave di violino” come ci ha detto, ma per dare corso semplicemente ad un suo impegno letterario, “Chitarra da cross” e che solo da pochi mesi è diventato un libro ed è adesso sul mercato. E la copertina del libro è già un capolavoro nella sua immagine quasi da pop art: una Harley-Davidson a forma di chitarra con a bordo una sagoma che fa il verso a Peter Fonda nel film “Easy Rider”. Dice Giuseppe De Vena: “non sono riuscito ad incidere dischi, o forse non l’ho voluto nemmeno cosi tanto, ma sono riuscito comunque a pubblicare un libro”. Con “Chitarra da cross” tornano in auge i suoi mitici anni settanta, quelli vissuti “estremamente” da Giuseppe De Vena, proprio tra l’impegno politico e quello della cultura e della musica, anni in cui la creatività ed i conflitti erano parte integrante di una esistenza votata assolutamente all’arte.
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