LA RIEDIZIONE DI “UN AMORE CHE VIVE” IL LIBRO DI OLGA BISERA DEDICATO AL PRODUTTORE LUCIANO MARTINO
di Giovanni Berardi
Eravamo in tanti per l’occasione della riedizione del libro di Olga Bisera “Un amore che vive” dedicato a Luciano Martino, il prolifico e divertito produttore cinematografico che ha scritto le pagine migliori del cinema popolare italiano. Olga Bisera è stata la sua ultima compagna di vita e il suo libro parte proprio da quelle che sono state le ultime ore di vita di Luciano Martino. Olga Bisera, un tempo anche attrice, ne racconta i sogni ed i dolori, i suoi tanti progetti mantenuti ancora nel cassetto, insieme alla disperazione di quel tempo che stava per scappare. Quindi le pagine di “Un amore che vive” si fanno davvero divertenti e divertite, anche sincere soprattutto nelle tante testimonianze raccolte e nei tanti ricordi riaffiorati. Tutti gli attori, che con il suo cinema sono diventati popolarissimi hanno raccontato le tante vicende umane e professionali vissute ed i tanti traguardi raggiunti dentro un cinema sempre più vispo, fluido, ridanciano, ma sicuramente concreto e vissuto. Luciano Martino è stato il produttore che più di altri ha creduto a fondo nella politica del cinema di genere. Li ha frequentati tutti, dallo spionistico al poliziesco, dal thriller all’avventuroso, dallo spaghetti western al post-atomico ed alla commedia sexy. Di quest’ultima sicuramente si sentiva un autentico padre, infatti bastava parlargli delle sue infermiere, delle sue soldatesse, delle sue liceali e davvero Luciano Martino si illuminava. Il cinema di Luciano Martino, che lui ha sempre percorso con un certo criterio ed anche con una certa convinzione “d’autore”, era anche un cinema innestato di furbizie e di assoluti colpi di genio. E parlava sempre in termini creativi di questi suoi film, dei suoi attori, dei suoi registi, degli autori dei copioni, di ogni singola scena spesso, divertendosi un mondo, amava recitarne le buffe battute. Un cinema davvero lungimirante il suo perché Luciano Martino riusciva sempre a dare al pubblico esattamente quello che il pubblico voleva. Era un periodo del cinema italiano, quello vissuto e prodotto da Luciano Martino, che andrebbe tenuto sempre ben presente e che finora non è mai stato studiato come si dovrebbe. Perché negli anni settanta l’estremismo di destra, lo stragismo, i servizi segreti deviati ed i golpe all’italiana, la corruzione venivano affrontati quasi unicamente dalla cinematografia popolare di genere, soprattutto dai cosiddetti poliziotteschi, completamente spogliati da implicazioni intellettuali, ed i titoli di Martino in questo contesto ne erano proprio i simboli: “Milano trema: la polizia vuole giustizia”, “Milano odia: la polizia non può sparare”, “La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori”, “La polizia accusa, il servizio segreto uccide” erano davvero esempi precisi di questi tentativi popolari di raccontare l’Italia più drammatica e misteriosa.
Di pari passo Luciano Martino costruiva anche serie cinematografiche che andavano ad intaccare le dimensioni del costume e dei poteri costituiti della società, film certamente privi, all’apparenza, di tratti sociologici o filosofici, ma proprio per questo hanno raggiunto oggi forti segni di dimensione antropologica. Insomma se vogliamo sapere davvero come era l’Italia degli anni settanta basta vedere sicuramente uno dei tanti titoli della filmografia di Luciano Martino, tempi senz’altro in cui i poteri costituiti dello stato, famiglia, chiesa, scuola, caserma, dominavano e minavano in assoluto le coscienze delle masse. Dunque se vi era una serie di film in cui si mettevano alla berlina proprio questi poteri, questi erano i film voluti da Luciano Martino, titoli quali, ad esempio, “La liceale”, “La dottoressa del distretto militare”, “L’insegnante”, “La poliziotta della squadra del buoncostume”, “La professoressa di scienze naturali”, “La vergine, il toro, il capricorno”, “Classe mista” erano gli esempi più lampanti. Vedere questi film per credere. Film che sprigionavano anche una puntuale vis comica, copiata infine anche dal cinema americano negli anni successivi, gli anni ottanta e novanta, con titoli quali la serie di “Porky’s”, “American pie” o “Tutti pazzi per Mary”. L’oltraggio, lo sberleffo alle istituzioni, a ben guardare, erano anche i peti di Alvaro Vitali, usati come metafore di lanciarazzi o simili, dove il suo sodale di sempre, il caratterista Lucio Montanaro, si offriva alle declamazioni tipo “… questo non é un culo, è una lupara…”. Insomma trovavi in quei film “scemi” situazioni e sketch lunghissimi tra gli attori, soprattutto tra Vitali e Lino Banfi, Gianfranco D’Angelo e Renzo Montagnani o Pippo Franco, Vittorio Caprioli, Carlo Delle Piane, Bombolo, Enzo Cannavale, battute su battute o monologhi, situazioni insomma in cui o sei bravissimo oppure fallisci.
Questo è stato il cinema che ha raccontato Luciano Martino e questo è anche il cinema che ha raccontato Olga Bisera nel suo bel saggio, un volume accompagnato dai tanti ricordi di chi ha conosciuto, lavorato e voluto bene a Luciano: Marco Giusti, Giovanna Ralli, George Hilton, Pippo Franco, Martine Brochard, Steve Della Casa, Romolo Guerrieri, Malisa Longo, Italo Moscati, Antonella Salvucci, Diego Verdegiglio. Luciano Martino di fatto ha sempre rivendicato, in tutti questi anni, e proprio con forza, il fatto che i suoi film non erano affatto inetti o volgari, come semplicemente sottolineava la critica più autorevole nel momento culminante, ma che l’imperativo di questi film era la rappresentazione, offerta in maniera più semplice possibile, delle varie situazioni storiche che la società attraversava nel periodo, come il femminismo, ad esempio, raccontato nel momento in cui diventava sempre più scatenato e politicizzato, tanto da condurre anche in uno stato di timore il popolo maschile, poi i vari fenomeni dalla matrice terroristica, che ha insanguinato e terrorizzato il paese, soprattutto nel periodo tra il 1969 ed il 1980 con l’anno della strage di Bologna. Insomma la portata storica del momento, in questa sana cinematografia “scema”, riusciva comunque ad essere presente, e senza scomodare esplicitamente chiavi di lettura come la politica più netta, la sociologia, la filosofia. Dice Olga Bisera: “quello che restava essenziale nei temi del cinema di Luciano era semplicemente di mettere alla berlina la fragilità conclamata dei maschi degli anni settanta, vittime spesso di un femminismo d’assalto, nonché passare al setaccio le “sane” istituzioni dello Stato, sempre attraverso la chiave della rappresentazione comica. Poi in secondo luogo, attraverso il filone del “poliziottesco”, una etichetta certo negativa coniata dalla critica “più colta”, vi è stato il tentativo “popolare” di raccontare i misteri e le tragedie del paese. Sono stati fenomeni in fondo, importanti per il suo cinema e Luciano ci ha creduto fino in fondo in quello che ha fatto, raccogliendo spesso sonori “insulti” dalla critica “più autorevole” ma assoluta riconoscenza dal pubblico “più proletario”, da quel pubblico cioè che va al cinema pagando davvero un biglietto”.
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