“CAFE’ EXPRESS. VIAGGIO IN TRENO AL TERMINE DELLA NOTTE”. IL LIBRO DI GERRY GUIDA E FABIO MELELLI

di Giovanni Berardi

DSCN0476La casa a ScauriNino Manfredi avrebbe compiuto cento anni il prossimo 21 marzo. “Cafè express. Viaggio al termine della notte” di  Gerry Guida e  Fabio Melelli, storici del cinema italiano, ne ricordano la grandezza. Ed è il primo libro a tagliare un traguardo sul centenario dell’attore. Dice Gerry Guida: “abbiamo scelto il film di Loy   “Cafè Express”  perché l’interpretazione di Manfredi, venditore abusivo di caffè, secondo il mio parere e quello di Fabio Melelli, co-autore del volume, è una delle sue migliori in assoluto. Poi, per quello che mi riguarda, mi interessava approfondire anche il notevole lavoro del reparto fotografico, impegnato in una lavorazione claustrofobica e difficile, per via della storia che si svolge praticamente all’interno di vagoni ferroviari. Nellibro quindi sono presenti a tal proposito interviste anche all’assistente operatore Zampagni, all’operatore di macchina Bernardini e all’autore della fotografia, il caro amico Claudio Cirillo”. Guida e Melelli, quasi come due chirurghi hanno operato una vera autopsia sull’opera di Nanny Loy, ne hanno intercettato proprio la beltà, la grande ironia, la poetica, l’amarezza, la tragedia, in fondo, di un uomo ridicolo.  Il libro è certamente la decantazione di un attore mito nel suo anniversario, ma è anche la riscoperta di un autentico capolavoro, come è stato il film di Nanny Loy, un film che, nel suo percorso, non è stato mai troppo amato dalla critica militante. E lo consideriamo un autentico autogol per la nostra cultura cinefila la poca stima concessa al film. “Cafè Express”, durante il suo percorso commerciale, e siamo grati al libro di Guida e Melelli che ce lo ricordano, è la metafora di una condizione, anche di una situazione. Una notte in treno mentre piove a dirotto poteva anche sembrare il prologo di una favola ed invece resta tuttora una realtà tragica ed amara spiattellata con il rigore dell’arte. Un film come pochissimi, nell’abuso dei titoli nel fecondo periodo degli anni settanta, che rientra e resta a pieno titolo nei grandi canoni della commedia dell’arte. Nino Manfredi è stato un attore molto legato al territorio pontino, lui che veniva dalla Ciociaria, ha sempre vissuto le terre pontine come una meta naturale, molto orgoglioso della sua casa di Scauri, forse anche più di quella dell’ Aventino a Roma, ricavata diceva   “nella montagna sullo splendido golfo di Monte d’oro, proprio scavata dentro di lei, realizzata a forma di palco che resta tuttora patrimonio del wwf”. Gloriose sono rimaste le sue confessioni di uomo e di attore, patrimonio ormai di trenta anni fa, all’istituto magistrale Alessandro Manzoni di Latina, dove ha intrattenuto gli studenti con le sue performance di attore, sono bastate solo due domande formulate dagli studenti e le sue risposte, recitate, sono durate cinquanta minuti l’una.  Quando per la prima volta abbiamo incontrato Nino Manfredi era sul set del film di Luigi Magni  “Secondo Ponzio Pilato”. Ebbene appena ricevuti sula porta ci siamo trovati di fronteproprio Ponzio Pilato. Nino Manfredi non smetteva mai di essere, proprio fisicamente, il personaggio che in quel momento stava interpretando. La stessa convinzione l’aveva espressa qualche giorno prima anche il regista pontino Massimo Ferrari, in sede di presentazione del suo film documento “Nino Manfredi: nudo d’attore”:“Nino Manfredi era un attore, forse l’unico in Italia,che sapeva restare sempre concentrato nella maschera che stava interpretando. Parlava come loro. pensava come loro, camminava come loro”. Ha aggiunto ancora il regista Massimo Ferrari: “era successo così con tanti personaggi memorabili che aveva interpretato, tutti molto caratterizzati anche fisicamente, non solo Geppetto per “Le avventure di Pinocchio” di Luigi Comencini o Gino Girolimoni per “Girolimoni, il mostro di Roma” di Damiano Damiani, ma anche nei personaggi più anonimi del mondo borghese o proletario avevadato caratteri somatici profondi e linguaggi identificativi precisi”.Manfredi restava concentrato anche quando rilasciava una intervista, quando rammentava un’ episodio, quando raggiungeva il telefono,quandofumava, e fumava parecchio, Manfredi restava una maschera di concentrazione. Aveva ottantaquattro anni quando è morto, ma fino a qualche giorno prima del suo malessere, che l’ha mandato in coma per circa un anno, nessuno riusciva ad associare a quella età il tempo della vecchiaia, tanti erano i progetti ancora inevasi e la forza, la lotta con cui affrontava sempre il quotidiano. In questi ultimi anni avevaLa casa nel mare di Scauri

raggiunto una magrezza che era il più possibile matura, il suo viso, la sua maschera, il suo colore davvero si avvicinavano all’attore scolpito nell’immaginario: Eduardo De Filippo, Buster Keaton conla sua tristezza e i suoi presagi, Totò in alcune maschere inventate per Steno, Mario Monicelli, Pier Paolo Pasolini. Aveva detto ancora Massimo Ferrari: “Manfredi era un uomo dai Modi davvero squisiti, lo sguardo ironico ed interrogativo lo accompagnava sempre, un attore come pochi in Italia, davvero di grande cultura, capace di trasformarsi però in una specie di furia quando qualcosa non andava nel verso giusto in quello che stava facendo”.  Un ricordo ora personale ma è un aneddoto che spiega una virtù, che si evince anche, nelle loro varianti, dalle tante testimonianze raccolte da Guida e Melelli nel volume. Un giorno ho trascinato, nella casa dell’ Aventino a Roma il consigliere comunale di Latina Mauro Visari.  Eravamo capitati  lì in un primo pomeriggio.  Nino Manfredi non aveva problemi a rinunciare, rinunciava a tante cose, quasi tutto, per lui era poco importante in rapporto all’umanità, “le cose davvero  importanti nella vita sono poche” diceva, ma al riposo pomeridiano assolutamente non sapeva e non voleva rinunciare, per lui restava qualcosa di avvicinabile al sacro. In quel primo pomeriggio era stato dunque svegliato per noi nel suo riposo. In attesa, nel salotto della sua casa, spiegavo a Mauro l’importanza per Nino del riposo pomeridiano, la famosa pennichella, e Mauro si era caricato di tale tensione ed apprensione che quando d’improvviso è spuntato Nino, che guarda il caso veniva proprio incontro a Mauro con indosso un tono severo, un piglio che apparentemente sembrava non assicurare niente di buono, Mauro vedendolo così imbronciato, con la sua spontanea simpatia e lealtà non trovò niente di meglio che scaricarmi le colpe dell’intrusione: “mi ci ha portato Giovanni”. E Nino di rimando, ora sorridente e disteso, rispose a Mauro. “Giovanni può venì qua quanno vuole” e ci siamo accomodati sui divani. Ridendo, ricordando e scherzando abbiamo fatto tutti insieme le nove di sera. Sono sicuro che quella serata è rimasta anche per Mauro una grande lezione, da riportare nel curriculum della sua vita.  Così come una grande lezione di rigore e di umiltàviene fuori da tutte le testimonianze raccolte da Guida e da Melelli nel loro prezioso volume  “Cafè Express” che ci regala anche un sottotitolo tra i più belli del mondo editoriale: “viaggio in treno al termine della notte”, che ci riporta proprio nei dintorni di Celìne.

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