ENRICO VANZINA: UNA SERATA AL CIRCEO
di Giovanni Berardi
Enrico Vanzina è stato al Circeo, alla corte di Giangi Superti e del suo Park Hotel, per parlare del suo ultimo libro “Il cadavere del Canal Grande”. In realtà sul suo libro Enrico Vanzina ha dedicato solo un accenno, esaustivo certo, ma è restato un accenno. Dice Enrico Vanzina: “non sono Wanna Marchi e non devo vendere pentole”. Poi sul proscenio del Park Hotel è andato davvero a ruota libera a raccontare aneddoti e riscontri sul suo cinema e quello sul papà, il geniale Steno. Ed è stata una festa. E qui abbiamo scoperto in Enrico il narratore filosofo come pochi in Italia. I racconti di Enrico Vanzina, narrati con il linguaggio del cuore, sono stati d’accademia e divertenti, profondi ed ironici e soprattutto ci ha trainato verso i mondi ed i caratteri speciali di personalità quali Ennio Flaiano, Piero Chiara, Totò, Suso Cecchi D’Amico, Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Dino Risi, Gigi Proietti e ci ha parlato anche di Carlo, il suo amato fratello scomparso, il regista che con la sua macchina da presa è stato davvero un eroe. E ci ha raccontato amori e delusioni dal Circeo, gli abbracci del popolo e le incuranze, forse generate dalle invidie aggiungiamo noi, delle istituzioni locali, soprattutto dopo aver idolatrato il Circeo con il suo ultimo film “Tre sorelle”. Si è soffermato con preoccupazione sulla realtà della crisi del cinema italiano e gioiosamente si è soffermato anche sui tanti motivi per continuare ad amare il cinema. Ci ha ricordato quello che pensava Alfred Hithcock sul cinema, quando raccontava che il cinema era assolutamente la vita, “togliendoli però tutti i momenti noiosi” e il poi cruccio, continuo, di Joseph Conrad, che non riusciva a fare capire alla moglie che “quando lui era alla finestra, e ci restava per ore, non era lì ad oziare ma bensì a lavorare”. Diventava serio e restava allegro Enrico Vanzina quando ci ha proiettato nei suoi trascorsi giovanili, la laurea in Perù, il primo lavoro in Brasile in un piano bar, Enrico è un eccellente pianista, l’incontro con il mito Edson Arantes Do Nascimiento detto semplicemente Pelè, l’abbraccio di Roma a Falcao, le feste patinate nella Roma degli anni sessanta. Un ricordo proprio a trainare l’altro ed un pubblico al Circeo contento ed assorto ad ascoltarlo con vivo interesse. D’altra parte Enrico Vanzina è una personalità che è cresciuta tra le braccia di Leo Longanesi, di Ercole Patti, di Mario Soldati e di Ennio Flaiano, di Totò e di Alberto Sordi ed è stato cullato dalla grande cultura del papà Steno. Non poteva essere altro che questa la sua vita, anzi la sua “bella vita” come giustamente l’ha apostrofata, una convinzione che era stata anche del fratello Carlo il giorno in cui, ormai ammalato e allo stremo delle forze, “perché Carlo aveva il cancro e lo sapeva”, avvicinandosi ad Enrico e accarezzandogli i capelli ebbe a rivelargli: “non ti preoccupare Enrico, la mia è stata una bella vita”. Anche se ormai la vita di Carlo stava prematuramente finire c’era ugualmente la voglia di testimoniare al fratello quella che era stata la sua “ricca” esistenza. Un ringraziamento divino insomma quello di Carlo ed anche l’espressione di una soddisfazione assoluta. Ed Enrico, come ci ha detto al Circeo, su questo episodio, vissuto insieme al fratello Carlo, ha meditato a lungo: “ho provato, e l’ho fatto, scrivere la vita straordinaria di Carlo, “Carlo, mio fratello”, un libro che ho scritto con una facilità ed un bisogno davvero estremo. Dopo però, alla bellezza dello scrivere un libro si affianca quello che è il lavoro della sua presentazione in giro, che è un atto doveroso. Mi ero proprio dimenticato di questo aspetto, preso com’ero dalla voglia, dettata proprio dal cuore, di scrivere il mio libro su Carlo. E sui prosceni il ricordo di Carlo, felice nell’affrontarlo mentre scrivevo, è diventato straziante, anche luttuoso, quando poi ha dovuto affrontare la gente. Il ricordo di Carlo in quel contesto di festa si è trasformato per me in strazianti sofferenze. Enrico Vanzina è convinto e rinnova anche al Circeo la stima al cinema dei nostri padri: “quel cinema ha segnato un’epoca ed una generazione. Risi, Monicelli, Steno, Pietrangeli, Comencini, Germi, Scola insieme a Sordi, Manfredi, Tognazzi, Gassman, Mastroianni con i loro film possono raccontare da soli la storia d’Italia. Ma da noi il cinema a scuola continua a non essere insegnato, può capitare che qualche volta si porta la classe al cinema al mattino, tra gli schiamazzi in fondo di alunni impreparati, ma lo schermo ancora non viene usato come un professore. Secondo Vanzina, ed ha ragione, la commedia all’italiana davvero dovrebbe entrare come materia di studio tra i programmi della scuola media superiore. E’ una teoria che da anni ormai sentiamo sostenere, tra i più agguerriti all’idea, continuano ad essere Walter Veltroni, Lidia Ravera, Masolino D’Amico, così come lo sono stati in tempi passati Ettore Scola, Mario Monicelli, Dino Risi, Luigi Comencini, Suso Cecchi D’Amico, Ugo Pirro, Furio Scarpelli, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Gianni Borgna, Luigi Filippo D’Amico. Ed Enrico Vanzina incarna davvero la commedia all’italiana sin dalle fondamenta per essere figlio di una statura del settore, il regista Steno. Ci ha parlato poi delle fotografie che tiene orgogliosamente sul comodino: una con Totò, con l’impermeabile e il cappello di scena e per mano Enrico bambino. “Questa foto è bellissima” ha ricordato Vanzina “continua a ricordarmi ogni giorno le mie origini: quella della commedia all’italiana”. L’altra fotografia lo ritrae con Aldo Fabrizi, vestito da guardia sul set del film “Guardia e ladro” del papà Steno: “mi sono accorto, proprio per come guardo quell’omone in questa fotografia, io un bambino piccolissimo allora, che quell’omone sarebbe certo diventato un attore dalle dimensioni gigantesche”. E sull’argomento Enrico Vanzina è stato un fiume in piena qui al Circeo: “perché sto parlando di Totò e di Aldo Fabrizi? Perché penso spesso a loro. Perché penso in assoluto alla fortuna che ho avuto nel conoscerli”.
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