FRANCO NERO E ENZO G. CASTELLARI: IL RICORDO STRUGGENTE DEL CINEMA DI GENERE ITALIANO
di Giovanni Berardi
Un anelito di nostalgia ha avvolto la sala del Supercinema di Latina martedì scorso. Quella che era una platea di “certamente ventenni” negli anni settanta ha accompagnato e salutato la venuta a Latina del regista Enzo G. Castellari e dell’attore Franco Nero scesi nel territorio pontino per riproporre un film, “Keoma”, girato nel 1977. Una iniziativa, proposta dalla Latina Film Commission e dall’Assessorato al Turismo del comune di Latina, che ha raggiunto i lidi più intimi dei sentimenti, che ha toccato davvero le corde sensibili di una generazione. Si è vissuto certo un momento nostalgico ma vi abbiamo visto anche un momento di speranza, perché comunque tanti i giovani presenti in platea, un sentimento a precipitare il momento indietro di quasi cinquant’anni, anche a rivivere i fasti di un decennio, gli anni settanta appunto e a rimuovere un momento speciale della storia del nostro cinema di genere, piuttosto bistrattato in verità negli anni deputati. Enzo G. Castellari è un regista che ha dominato proprio quei prosceni del cinema italiano anche per buona parte degli anni novanta. Prolifico soprattutto nel glorioso cinema di genere italiano, di quei titoli piuttosto sottaciuti all’epoca, di quei film mai recensiti dai giganti della critica, oggi Enzo G. Castellari è un autore molto apprezzato anche dal mercato americano. Il grande regista di Hollywood, Quentin Tarantino, lo ha eletto addirittura tra i maestri della sua formazione professionale, una testimonianza questa di Tarantino che ha assunto nel tempo i toni di una condanna verso il sistema culturale italiano proprio per l’assoluta miopia critica vissuta in quegli anni da quella massa di registi che in realtà invece stavano facendo industria il nostro cinema di genere. Ed Enzo G. Castellari e Franco Nero a questo punto non negano dal proscenio del Supercinema quello che è il loro elogio verso il regista hollywoodiano. Dice Enzo G. Castellari: “Tarantino è un genio assoluto, e questo lo abbiamo sempre saputo attraverso la visione dei suoi film che sono semplicemente magnifici, superlativi. Ma quello che colpisce di più in Tarantino è la sua preparazione, la sua cultura profonda e senza fine, proprio totale verso il nostro cinema di genere. Lui dei nostri film conosce ogni punto, ogni virgola, non sottovaluta nemmeno una inquadratura e conosce a menadito tutti i mestieranti di quel cinema”. Di rimbalzo Franco Nero a replicare: “quando giravo con lui il suo film “DjangoUnchained”, e sapevo della sua qualità e cultura nel riconoscere i nostri film ho pensato di fregarlo parlandogli di un mio film interpretato agli inizi della carriera, un film quasi misconosciuto anche in Italia cheera “I diafanoidi vengono da Marte”. Ebbene appena Quentin ha sentito il titolo ha gridato “Anthony Dawson, Antonio Margheriti” il regista del film. Ebbene Quentin Tarantino conosceva pure quello. E il sentimento dei più in platea è corso proprio in quegli anni e il pensiero si è fatto anche mesto quando lo stesso Castellari e lo stesso Franco Nero hanno ammesso che davvero in quegli anni, forse nemmeno sapendolo, si consumava un momento speciale per la nostra cinematografia di genere. Abbiamo capito dalla platea del Supercinema che c’è stato un decennio speciale della nostra storia del cinema e il piacere è stato proprio quello di sentirsi raccontare un’era, che oggi è certamente finita, dove tutti i grandi registi del cinema di genere, Mario Bava, Antonio Margheriti, Alberto De Martino, Lucio Fulci, Umberto Lenzi, Stelvio Massi, Romolo Guerrieri, Sergio Martino, Ruggero Deodato, Aldo Lado, Giuliano Carnimeo e gli attori più popolari, erano tutti all’opera, ognuno con caratteristiche diverse dall’altro, in un lavoro continuo che ha consolidato e fatto volare in alto l’industria del cinema italiano, “che oggi è in sfacelo”, come ha più volte ricordato dal proscenio Enzo G. Castellari. Il film proiettato poi, “Keoma”, è oggi ancora di una attualità disarmante, visti i contrasti razziali nel mondo, e in netta antitesi in fondo con i giudizi critici dell’epoca che davano a questi film, perché ritenuti ancorati troppo alla dimensione del puro spettacolo, solo la patente di pocaggine e di qualunquismo. Un abbaglio certo, ed anche vistoso. “Keoma” è insomma un film che è piaciuto molto al pubblico dell’epoca e piace ancora. Ha detto Enzo G. Castellari: “io parto sempre, quando inizio a girare un film, a cosa piacerebbe vedere a me sullo schermo. Io sono sempre stato insomma il primo spettatore dei miei film. Con questa filosofia, diciamo, mi sono sempre approcciato al mio mestiere. Tornando a “Keoma” questo è il film, tra i tanti da me realizzati, che io amo di più, perché è proprio quelloche inquadra al meglio la mia professionalità e mi fa riconoscere completamente come regista, come sceneggiatore, anche per il senso delle scenografie e dei costumi, per l’uso dei rallenty, per la scelta e l’interpretazione dei personaggi, per il ritmo e per le soluzioni di montaggio, che avverto sempre rivoluzionarie, per l’interpretazione personale dei flashback e per la creazione pittorica delle inquadrature. Per questo sono sempre felice quando posso accompagnare il film, come in questo caso, tra il pubblico”. Franco Nero al suo fianco gli faceva eco: “Keoma” è il quarto film girato con la regia di Enzo e lo ritengo anche il più bizzarro tra i film western che ho girato. Ricordo che qualche critico, certamente illuminato per l’epoca, perché davvero i nostri film venivano considerati in Italia roba da serie inferiore rispetto al cinema degli autori, riuscì a paragonare “Keoma” a “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman. E io ho sempre creduto che questo era piuttosto vero visto il clima di simboli e di significati onirici che lo circondava”. “Keoma” ha avuto anche un percorso di difficoltà durante la lavorazione. Sia Enzo G. Castellari che Franco Nero hanno ricordato che il film era iniziato senza una sceneggiatura ben stabilita. C’era a monte certo il soggetto e la sceneggiatura di Luigi Montefiori ma questa non incontrava i favori del regista e nemmeno dell’attore protagonista. Dice infatti Franco Nero: “insieme ad Enzo reimbastivamo giorno per giorno sul set la sceneggiatura di “Keoma”. E in questo modo di fare ci venne molto utile la cultura di uno degli attori, John Loffredo, un personaggio poliedrico, infatti oltre che attore era anche un romanziere. Enzo per un fantastico monologo ricorse a Loffredo, che nella vicenda è uno dei tre fratellastri bianchi che mi vogliono fare la pelle”.
Ricorda ancora Franco Nero: “Loffredo attinse addirittura al “Giulio Cesare” di Shakespeare riadattandolo naturalmente in chiave western. La scena era il monologo che Loffredo pronuncia contro di me quando vengo crocefisso”. Rincalza il regista Enzo G. Castellari: “avendo il personaggio Keoma barba e capelli lunghi l’eco cristologica della scena era tutt’altro che avventata e quindi fu avvertita dal pubblico in maniera straordinaria”. Dice ancora Enzo G. Castellari: “quando abbiamo cominciato a girare “Keoma” non c’era una sceneggiatura, o meglio, c’era ma non ci convinceva affatto. Nella mia mente e in quella di Franco invece il tema del film era ben presente, il contrasto razziale, i bianchi contro i rossi, gli indiani buttati nelle riserve, e tutto questo nelle sceneggiatura scritta se c’era era solo adombrato ed invece noi lo volevamo come tema dominante. Ma come trovare l’idea scenica per esprimere tutto ciò? E questo dubbio, questo cruccio, ci ha accompagnato per parecchi giorni durante la lavorazione. Ma non sapevamo, invece, che giorno dopo giorno, con tutta l’equipe del film stavamo trovando la chiave giusta per esprimere “fotograficamente” queste nostre convinzioni sociali, forse anche politiche direi”. Ad un certo punto Enzo G. Castellari sembra porgere una domanda al pubblico: “non ho mai capito che cos’era e cos’è stato il cinema d’autore. Io dei miei film curo sempre il soggetto, scrivo o coadiuvo con altri la sceneggiatura, vado e organizzo con il musicista le musiche, visiono, o addirittura lo faccio io, il montaggio. Eppure secondo la critica non sono un autore”.
Ora per Enzo G. Castellari è spontaneo affermare anche che i loro film, denominati semplicemente di genere, erano esportabili, creavano grossi guadagni nel mondo intero, permettevano quindi alla nostra industria cinematografica di esistere alla grande e di finanziare finanche prodotti più artistici. Qualcosa insomma di eccezionale che forse ai nostri registi più blasonati dalla critica poco riusciva. Franco Nero ha ricordato poi che per un periodo anche lungo è pesato su di lui un certo pregiudizio non proprio nel pubblico ma piuttosto nella critica, che pur riconoscendogli la bravura gli rimproverava piuttosto una attività troppo frenetica. Era naturalmente un pregiudizio, ma in qualche modo, secondo l’attore, questo è pesato in maniera concreta sulla sua carriera. “E pensare che questo modo eclettico, quasi scanzonato, di affrontare la professione di attore mi era stato suggerito da Laurence Olivier, cioè da colui che era tra i maggiori attori internazionali del ventesimo secolo. Se vuoi una carriera da attore, ricco anche di soddisfazioni personali,cambia ruolo in continuazione mi disse Sir Olivier. Incontrerai certo alti e bassi nella carriera ma vedrai che a lungo andare avrai i frutti. E ho seguito il suo esempio. Io mi sono sempre divertito a cambiare continuamente ruolo. Ho fatto ogni genere di personaggi, anche di trenta nazionalità diverse. Ho detto che smetterò di fare cinema quando non avrò più entusiasmo. Ce l’ho ancora. Poi quando andrà via …”.
Una affermazione questa di Franco Nero che è andata, a questo punto, proprio confondendosi con lo scrosciante applauso del pubblico. Era inevitabile, forse persino giusto, che la chiacchierata di Enzo G. Castellari e Franco Nero a questo punto si risolveva velata di assoluta nostalgia, come nostalgico in fondo era tutto il pubblico in sala. Il bel cinema del tempo perduto, di cui Castellari e Nero restano un esempio concreto, soprattutto l’idea culturale e spettacolare di cinema che non sembra più appartenere al pubblico attuale e nemmeno ai lavoratori del cinema rende il cruccio ormai persino insopportabile. Ed è con questa idea manifesta che Enzo G. Castellari e Franco Nero lasciano e salutano tra gli applausi il proscenio del Supercinema di Latina.
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