I RICORDI PONTINI DI ANNA CAMPORI
Giovanni Berardi
Anna Campori aveva festeggiato solo pochi mesi fa, il ventuno settembre, i suoi formidabili cento anni. Un bel traguardo, ma Anna Campori, lo scorso diciannove gennaio è morta. Il pubblico ricorda Anna Campori certamente come la moglie cinematografica di Totò, ma fu anche, insieme al marito Pietro De Vico, uno dei nomi più rilevanti del grande teatro popolare del cafè chantant, della rivista e dell’avanspettacolo. Nei suoi ricordi, piacevoli come le grandi interpretazioni, le estati trascorse dalla coppia al Circeo, ma anche tra le colline di Velletri, dove spesso era ospite nella casa di campagna di Eduardo De Filippo. Nelle vacanze degli anni cinquanta, proprio al Circeo, i coniugi De Vico avevano modo di incontrarsi, più spesso che a Roma, con Totò ed Anna Magnani, Renato Rascel ed Alberto Lupo. Trovavano spazio, proprio sotto il promontorio del Circeo, per raccontarsi le esperienze vissute e i progetti futuri, molto spesso erano progetti che li vedevano tutti insieme sul set o in palcoscenico. Ed era abbastanza strano l’evento che si riusciva a compiere, miracolosamente, al Circeo, come raccontava Anna Campori: “ a Roma raramente ci si vedeva, con i colleghi, nonostante fossimo lì, tutti ad un tiro di schioppo … Ci si incontrava solo sul lavoro, mai per scambiarsi abbracci e cortesie …” L’amicizia del cronista con Anna Campori e Pietro De Vico risaliva ormai alla metà esatta degli anni settanta, da un incontro che fu casuale, al binario tredici della stazione di Roma Termini:la coppia era in partenza per Formia, al sottoscritto avevano chiesto semplicemente una informazione, cercavano una conferma e non pensavano certamente di essere riconosciuti da un giovanissimo, in un momento poi in cui non brillavano più proprio in celebrità spicciola, la televisione non era ancora quel veicolo perverso verso la fama e la notorietà che stava per diventare, d’altronde attori di classe come loro poco potevano attrarre i mercanti della nuova televisione, ed il cinema dei primi anni settanta già cominciava a voltare le spalle a quelli che erano stati i grandi caratteri del cinema italiano degli anni cinquanta e sessanta. “ … il treno in sosta al binario tredici della stazione di Roma fermava a Formia? …”.
Il cronista è vero che indossava l’eskimo e si riuniva nelle sale anguste e fumose a leggere e a commentare Mao Tze-Tung, che consigliava a tutti di leggere “Le tappe del pensiero sociologico” di Raimond Aron, “La vita contro la morte” di Norman Brown, “Che cos’è la psicanalisi” di Pierre Daco ed i sublimi “Discorsi inediti” proprio di Mao Tze-Tung, ma ha fatto sempre i conti, continuamente, con i suoi miti adolescenziali ed infantili, con le cose proprio del cuore, e Anna Campori e Pietro De Vico erano proprio tra questi, fortemente tra questi. Quante le cose, quanti i motivi e le domande, le riflessioni, i fatti che, da giovanissimo appassionato, la Campori e De Vico riuscirono a soddisfargli quel giorno sul treno, e poi negli incontri che si sono ripetuti negli anni. Tra questi, nei primi anni ottanta, l’incontro a Latina, al cinema Giacomini, che in quegli anni fungeva anche da teatro. quando la coppia portava in tourné il testo di Franco Brusati “Le rose del lago”. Il cinema, il comico puro, Totò ed Eduardo, Fabrizi e Peppino, le loro interpretazioni, i loro incontri, i loro rapporti, furono i primi argomenti assolti. La loro presenza nei cast dei tanti film adorati da infante, con Totò, Fabrizi, i De Filippo, e poi ancora con Taranto, Macario, Franchi ed Ingrassia, ma anche con Gianni Morandi, Rita Pavone, Albano, Dino, Caterina Caselli, Little Tony, Mario Tessuto. Che enciclopedia di aneddoti furono le loro risposte. Come può non restare memorabile, proprio un compagno d’infanzia, nella memoria di chi oggi ha cinquanta-sessant’anni, il serial televisivo “Giovanna, la nonna del corsaro nero” di Vittorio Metz, dove la Campori era la prima donna, proprio un’ava dell’eroe salgariano con gli stivaloni, la piuma sul cappello e la spada, e dove De Vico era il servitore Nicolino, una maschera ormai universale. Come si divertiva e come si emozionava Pietro De Vico quando lo si ricordava in quel frangente. Diceva di essere debitore per quel ruolo alla lezione di Brighella, alle lezioni delle maschere della commedia dell’arte. Quante lezioni quando ti ritrovavi tra loro, lezioni anche di solidarietà, imparavi davvero a riconoscere a memoria, e ti ritrovavi sempre in grande sintonia con l’avvenire. E quanta malinconia per Anna al ricordo del suo teatro leggero, diceva che era una vera scuola di vita, oltre che artistica. “ .. in quel teatro ho imparato i ritmi scenici giusti e soprattutto ho acquisito il coraggio di recitare anche con i fischi e le pernacchie …”.
Si commosse fino alle lacrime Pietro De Vico quando il giorno che morì Mario Carotenuto commentai dicendogli, e gridandogli, a lui e a sua moglie Anna Campori, la sfortuna di essere nati e di aver lavorato in Italia, in un paese che difficilmente riconosce meriti e considerazioni alle persone che non generano più profitto immediato. Le giovani generazioni sicuramente, e purtroppo, non sanno e non sapranno mai chi sono stati Dolores Palumbo, Pupella Maggio, Gianni Agus, Carlo Campanini, Mario Carotenuto, Ave Ninchi, Clelia Matania, Virgilio Riento, Tina Pica, Carlo Dapporto, Mario Castellani, ma a questo punto l’elenco diventerebbe praticamente inesauribile. Diceva Pietro De Vico che in lui, ed anche in Anna, non c’era altra ragione di impegno se non quella di far ridere il pubblico, di farlo accorrere in massa in platea. Aggiungeva inoltre che ormai sia lui che sua moglie Anna resistevano silenziosamente a certi intellettualismi registici. Eppure un saggio delle loro performance Anna Campori e Pietro De Vico ce le hanno sempre regalate a casa loro, quando li andavamo a salutare, pallide fotocopie certo di quello che doveva succedere in palcoscenico ma, però, a parer del cronista, Anna e Pietro ci restituivano pienamente la disperata allegria di quelle esibizioni. Un ricordo ancora insiste indelebile: il giorno in cui un pomeriggio di tanti anni fa, ad esempio, ospiti nella loro bella casa di Trastevere, dopo che Anna ci aveva servito i pasticcini con il the e la marsala, Pietro De Vico già colpito da un ictus, in quel tempo infatti seguiva una terapia farmacologica molto intensa e che comunque non lo avrebbe salvato dalla morte avvenuta esattamente l’anno seguente, nel 1999, cominciò a mettere in scena, con il tavolo del salotto usato come letto da sala operatoria, e le poltrone, la scena memorabile tratta da “Totò Diabolicus”, il film di Steno. E mentre Pietro si esibiva, semplicemente per noi, Anna Campori raccontava che questo era il film che Pietro amava particolarmente. L’episodio di Totò chirurgo e De Vico paziente è rimasto negli annali della comicità, per i ragazzi della accademia d’arte drammatica resta tutt’ora un esempio di tempi comici da studiare. Raccontava quel giorno Pietro De Vico. “il nostro è stato un mestiere difficile perché non è mai stato facile fare ridere la gente … “. Ed Anna amorevolmente lo confermava. Su quelle tavole impolverate, su quei sipari sgangherati, attraverso il freddo, la fame, i camerini sporchi, le convocazioni in caserma e gli atti censori, che poi in scena quasi sempre i grandi “guitti” come loro, e come Totò e la Magnani, alteravano e disattendevano. “… il comico in palcoscenico faceva paura …” ci aveva detto Anna Campori “era temuto dalle autorità …”. A concludere: nei viaggi in terza classe per tutta l’Italia, dal nord al sud insomma, Anna Campori e Pietro De Vico, avevano ereditato proprio quella umiltà, quella generosità, quella simpatia, che restano, poi, i doni supremi dell’arte.
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