IL RICORDO DI FABRIZIA RAMONDINO, UNA AMICA DELLA TERRA PONTINA
Giovanni Berardi
Lo scaffale della libreria è in ordine perfetto, al suo interno, sistemati per benino contiamo esattamente tre copie del bel libro di Fabrizia Ramondino, La via. Fa un certo effetto ora, girare tra le mani, questo libro e leggere la terza di copertina. La via è l’ultimo libro scritto da Fabrizia Ramondino, ed è andato in libreria immediatamente dopo la sua morte, avvenuta nel mare di Gaeta all’inizio dell’estate del 2008. Fabrizia Ramondino era esattamente una amica della terra pontina, viveva ormai ad Itri da anni. Aveva lasciato Napoli, sua città natale, subito dopo il terremoto del 1980. Itri, il paesino dell’entroterra pontino rappresentava per lei proprio il luogo dell’anima, come ci aveva detto, e lo aveva scelto apposta: “Itri è un paese che mi rievoca storie, tracce del passato, leggende che soddisfano la mia grande voglia di libertà e di conoscenze”. Dopo aver letto un suo libro Althènopis, che è un forte racconto di radici, di ricordi, di malinconie, di pianto, l’ho cercata, ho strappato finanche un appuntamento di un’ora che si è trasformato in un intero pomeriggio a casa sua, a leggere le cose sue e le cose mie. Salutandoci infine sulla porta disse: “tu, Giovanni, ti nutri delle mie stesse dimensioni”. Grazie alla mia presenza, anzi cito testualmente, ai miei motivi per l’incontro, Fabrizia Ramondino aveva preso a ricordare minuziosamente i suoi pellegrinaggi politici, quello del 1975 in Portogallo per la rivoluzione dei garofani e quello nell’agosto dello stresso anno, nella Repubblica Popolare Cinese. E’ stata lei a confermarmi, anzi a farmi rileggere, questa volta davvero con il cuore, la grande letteratura francese dell’ottocento, Balzac, Stendhal, Rimbaud, Baudelaire, quella russa, Tolstoj e Dostoievsky e poi la poesia italiana, Campana e Montale. Raccontava che ormai i suoi grandi viaggi per il mondo non erano più tali e per questo il paesino di Itri rappresentava per lei, sempre più, il luogo stanziale, la stabile dimora. I luoghi in cui era stata felice ormai erano devastati dal turismo, da quello di elite e da quello di massa, ed il turismo restava sempre, semplicemente, la negazione del viaggio. Poi, nel tempo, sapendo della mia cinefilia prendeva a raccontarmi sempre più precisamente, dei suoi trascorsi professionali con i registi Mario Martone e Gianni Amelio, soprattutto l’impegno tortuoso che era stato il lavoro della sceneggiatura di Morte di un matematico napoletano, soprattutto per le esigenze culturali del regista Martone e per le esigenze artistiche dell’attore Carlo Cecchi, che male si adattava, in un primo momento, ad interpretare cinematograficamente, lui grande attore di teatro, un copione che restava, nonostante tutto, piuttosto letterario. La via, il suo ultimo romanzo, Fabrizia Ramondino lo aveva scritto completamente ad Itri “spesso adagiata sul terrazzino, ad osservare la campagna esangue, e poi immaginare oltre la campagna il mare di Sperlonga” aveva confidato. Ad Acraia, che è il nome del paese inventato per l’ambientazione del suo libro, c’è una via che divide il paese a metà. E questo proprio come ad Itri. E su questa via, anzi su questa divisione, Fabrizia ci ha scritto il suo libro. Tutto della cultura di Fabrizio Ramondino riportava davvero alle radici, in ogni suo libro trovi sempre un ritratto che certamente assomiglia a qualcuno di noi. Nessuno meglio di Fabrizia, infatti, ha saputo raccontare e descrivere nei dettagli gli anni settanta, gli hippy, le femministe, le manifestazioni in piazza, le eterne discussioni politiche, il terrorismo. Gli anni che la nostra generazione ha attraversato, gli anni settanta, Fabrizia li aveva scandagliati tutti per benino nella sua narrativa, aveva argomenti e motivi persino per quei movimenti culturali nati e spariti nel giro di una generazione. Anni che Fabrizia poi, a differenza mia ricordava assolutamente senza nostalgie. Quel tempo per Fabrizia non era stato migliore e neppure più bello, semplicemente era stato.
Forse sta qua la forza della sua migliore poesia e per questo, personalmente, ero stato immediatamente ed assolutamente rapito dalla sua mente. Riusciva insomma a lei, pienamente, quello che a me continua a rimanere tuttora impossibile. Fabrizia Ramondino, dolce e schiva al contempo, è stata un testimone assoluto di un tempo completo, era fermamente, e spesso dolorosamente, come avevo scoperto, la vita. “Itri” diceva “non vuole dire rinunciare” come da più parti, soprattutto dal suo mondo intellettuale, sentiva ormai ripetere, anche se quel mondo puramente intellettuale non l’aveva mai entusiasmata e dal quale mai, naturalmente, si era lasciata travolgere: “i clamori della società letteraria sono sempre fasulli” ripeteva “ed Itri non vuole dire neanche estraniarsi” aggiungeva. Ecco, Itri era vissuto da Fabrizia Ramondino proprio come un appartamento. Fabrizia Ramondino è morta il 24 giugno del 2008 nuotando nel prediletto mare di Gaeta, per un malore, o forse per qualche cosa d’altro.
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