“IN PRINCIPIO ERA IL DOLORE: UN FAUST DI MENO”. IL LIBRO DI PAOLO SCARDANELLI

di Giovanni Berardi

“Milano, vDSCN0476ia Festa del Perdono. Nel cortile della Università Statale sono stati rinvenuti i corpi di otto ricercatori. Tutti orribilmente trucidati e la loro disposizione sul terreno è propria a formare una rosa dei venti.  In stato di fermo immediato l’avvenente professoressa di Estetica, Loredana Robecchi, trovata completamente nuda, all’alba, all’Università, bocca e mani insanguinate ed in stato di assoluta confusione. Ad indagare sul delitto è il commissario Belletti, uomo integerrimo al servizio della giustizia, che ha puntato      la sua attenzione su Fabio Pugno, marito di Loredana”. Le righe virgolettate sono riportate nella seconda          di copertina del nuovo libro di Paolo Scardanelli, “In principio era il dolore. Un Faust di meno” Carbonio editore, e in qualche maniera sembrano porgere l’avventura noir in una dimensione di semplice verità esponenziale dei fatti. Ma non è proprio così, il libro di Scardanelli si avventura invece, pagina dopo pagina, in un preciso percorso diabolico e labirintico. Il noir di Paolo Scardanelli, “In principio era il dolore. Un Faust    di meno” è pieno di riferimenti artistici, la musica in primo piano è atta proprio per comporre un balzello     non indifferente ai fini della grammatica dell’intreccio. L’ambiente poi, Milano, avvertito come un personaggio aggiunto del romanzo trova il lettore assolutamente immerso, quasi a potere toccare, sentire, pagina dopo pagina, l’odore ed il gusto, il sangue e la carne della città. Milano è una città bella, un luogo affascinante,   concreto, ma la copertina di In principio era__ il dolore. Un Faus di menonel romanzo di Scardanelli è anche un posto estremo. Milano è l’elemento di ricchezza in questa storia “criminale”. Scardanelli con questo contesto ha mano davvero felice nel concludere quello   che possiamo chiamare il vezzo di studiare, proprio al millimetro, l’idea di ciascun personaggio. Milano    oggi non è proprio il prototipo della cittadina di provincia, non lo è di certo, ma nel suo  romanzo invece Paolo Scardanelli riesce ad imprimere a Milano quella “autorità” da provincia italiana che la fa simile,           ad esempio, a Latina, provincia netta, spesso sottolineata in questo senso dai registi del nostro cinema italiano, Giuseppe De Santis, Marco Ferreri, Paolo Sorrentino, i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo con i loro film  “Un apprezzato professionista di sicuro avvenire”, “Storia di Piera”, “L’amico di famiglia”,  “America Latina”, dove mascherare o alimentare facilmente filtri e storie davvero turpi. Un ambiente provinciale anche remoto che tuttavia sembra plasmare ed indurre Paolo Scardanelli verso il tentativo di ridurre Milano una maschera della grande città, come una maschera della grande città è, ed anche in maniera perfida, un “agglomerato sociale” come Latina. Se vogliamo ricercare un maestro per Scardanelli, perché ci si pone sempre una domanda del genere in sede di recensione, qualcuno o qualcosa che forse lo ha potuto condurre per mano nella elaborazione del suo “In principio era il dolore. Un Faust di meno” questo personalmente lo abbiamo trovato in Orson Welles e nel suo romanzo “Il signor Arkadin”, romanzo tradotto poi dallo stesso Welles in un film, “Rapporti confidenziali”. Perché apparentare dunque Paolo Scardanelli con Orson Welles? Semplicemente perché leggendo Scardanelli al cronista è tornato in mente, così, proprio improvviso, il libro di Welles, un libro ed un film ormai remoti da anni nella mente del cronista. Non ci sono certo altre ragioni più concrete o più scientifiche. Il meccanismo letterario, quello più strettamente thriller di “In principio era il dolore. Un Faust di meno” in questo indirizzo è perfetto: agguati, tensioni, lirismo, il disegno diabolico, l’investigazione vista nell’elemento consapevole della trappola. Il romanzo dunque è, già dalle prime pagine, una corsa affascinante attraverso il recinto “della grande provincia”, che non viene mai oscurata o sotterrata, con i suoi personaggi, certo sbandati, descritti da Scardanelli come inseguiti dal destino, qui impersonato da uno strano essere chiamato Marilyn, una strana persona descritta tra il demone e il saltimbanco. E tutti i personaggi sembrano vivere come a seguire una propria natura e una propria verità, una verità che diventa, con il supporto della poesia, di volta in volta, delittuosa ed anche, sembrerebbe, generosa.  C’è molto William Shakespeare in questo ragionamento di Paolo Scardanelli. Mauro Trotta, critico de Il Manifesto scrive, nell’ultima di copertina: “in un’epoca di nani, per di più scesi ormai dalle spalle dei giganti come l’attuale, il tentativo, la voglia, l’obiettivo di misurarsi con “il nostro dovere conoscitivo che, unico, ci salverà dalla dannazione” rappresenta senza dubbio un’ottima ragione per avvicinarsi e dare credito al lavoro di uno scrittore”. E noi, di questo preludio, a Mauro Trotta, gliene diamo assolutamente atto.

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