“LA CAREZZA DELLA MEMORIA”. IL NUOVO LIBRO DI CARLO VERDONE
di Giovanni Berardi
Carlo Verdone non è solo il regista affermato o l’attore famoso che abbiamo conosciuto.
Oggi Carlo Verdone è anche un autorevole scrittore. “La carezza della memoria” è il suo terzo lavoro letterario dopo “La casa sotto i portici” e “La vita è una commedia” e certo è stata da viatico la segregazione in casa per sfuggire al virus, momenti che chiamano lockdown, a spingere Carlo a sedersi ancora una volta davanti al suo portatile, ma non è stato, come ci ha spiegato, l’unico motivo, quello più decisivo è rimasto dettato “dallo scatolone che, precipitando a terra, ha sparso sul pavimento ricordi che altrimenti potevano svanire nell’oblio”. E siamo grati, noi lettori, a questo rovescio dello scatolone (certo alla segregazione sicuramente no) perché Carlo ci ha regalato, in questo libro,una sintesi estrema della sua saggezza, della sua umiltà, della sua lealtà. Ci ha condotto quasi tenendoci per mano, come un filosofo autorevole, anche verso la strada della felicità e del disagio dei tempi. Ha dipinto nel suo libro un quadro lontano dal Carlo Verdone che abbiamo sin’ora conosciuto attraverso la sua brillante carriera, anche se qua e là il Verdone che conosciamo, quello divertente e divertito, fa ancora capolino. Quando ne “La carezza della memoria” si sofferma sulle giornate del litorale laziale non può fare a meno di ricordare il momento in cui Alberto Moravia scoprì “la grande spiaggia di Sabaudia”. Un aspetto del nostro litorale a quel tempo ancora sconosciuto alle invasioni di massa. Non manca poi la descrizione del Circeo “al respiro di quell’aria antica dove è concreta l’atmosfera di un passato che immediatamente si fa presente”. E poi certo la scultura del monte Circe che Verdone avverte e descrive come affascinante, maestosa, sinistra. Dice Carlo Verdone: “l’introversa letteratura di Moravia si è nutrita sicuramente dei colori inquieti di quel luogo, dove l’austerità del lago si contrappone ad un enorme lingua di sabbia accecante. Non ci sono mezze tonalità a Sabaudia: le luci e le ombre sono forti, contrapposte, nette”. Un aspetto questo che ha fatto innamorare delle dune anche uno dei più prestigiosi autori della fotografia cinematografica internazionale come Vittorio Storaro ed un regista poeta, colto e sensibile, quale era Bernardo Bertolucci. Tra le pagine più divertite de “La carezza della memoria” c’è assolutamente il richiamo alle goliardie d’infanzia, a tutti quegli “eroi” del cazzeggio e della mitomania incontrati da Verdone per la strada, che poi con la rielaborazione del tempo sono diventati temi e protagonisti cari dei suoi film. Per interpretare uno di questi buontemponi, nel lontano 1985, Carlo Verdone era sceso proprio nella città di Latina, perché colpito e divertito negli anni, da un nostro campione del flipper, che nel frattempo aveva trovato casa a Latina, un tal Paolo Rubbio, che era stato scovato e quindi rievocato in una puntata dello Stracult televisivo di Marco Giusti e Luca Rea, nel momento in cui Giusti e Rea, gli eroi del cinema più popolare, si apprestavano a fare i conti con i quaranta anni di “Troppo forte” la pellicola dove, più delle altre, Verdone ha mostrato davvero, nella loro più estrema filosofia, i suoi campioni del cazzeggio. Poi anche in “Compagni di scuola”, “il film più importante”, come lui stesso lo ha definito, “un film che ho capito resterà immortale” dice Carlo Verdone, una sorta di “grande freddoall’italiana”, il richiamo a Latina è stato centrale, anche a chiudere il film nella scena in cui, dopo la travagliata esperienza della festa nella villa sull’ Appia Antica, una riunione voluta dalla bella della classe quindici anni dopo la maturità, una serata che in realtà ha solo portato allo scoperto illusioni, nevrosi e fallimenti di ognuno di loro, il personaggio di Tony Brando, impersonato da Christian De Sica, una figura spiantata, che negli anni ha tentato la via della canzone senza ottenere mai un briciolo di successo, dedito nella vita ad affari poco chiari, anche accusato, nella serata, di un furto di quattrocentomila lire alla padrona di casa, nel salutare Piero Ruffolo detto “er Patata” (il personaggio di Verdone) sul cancello della villa, più indeciso che mai risponde: “che faccio ora? Mi infilo sulla Pontina e provo ad andare a Latina ad incontrare uno che forse gli può interessare un Sironi …”
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