LE CASE COLONICHE COLOR “CELESTE DEI SAVOIA” DELL’AGRO PONTINO RESTARONO A RIFLETTERE CAPOVOLTE.
Ugo De Angelis
Il feroce accanimento delle truppe tedesche durante la ritirata dell’autunno 1943, non ebbe eguali nella storia del nostro paese, la furia devastatrice colpì anche la campagna, il 50 per cento dei Poderi e degli impianti idraulici della Bonifica furono distrutti, consentendo così alle acque di invadere di nuovo parte dell’Agro Pontino.
Il territorio su cui si estendeva il neo ambito comunale della Città di fondazione conteneva i terreni dell’antico Agro Romano dell’allora Tenute di Conca e dell’Acciarella, dell’Agro Pontino con parte del Bosco di Cisterna e Terracina, comprese le aree a nord-est a ridosso dell’Appia, queste ultime anch’esse già bonificate dagli interventi di Sisto V, Pio VI e dal dipartimento del Tevere dell’amministrazione francese. Gran parte di questo territorio, aveva ormai perso l’aspetto romantico dell’antica Campagna Romana di fine ottocento e il successivo taglio indiscriminato del bosco planiziario di Conca, dell’Acciarella e di Cisterna, fu attuato per far posto alle vaste brughiere dell’industria romana della pastorizia. Occorre rimarcare l’attiva promozione del Comizio Agrario di Roma, già Società Agraria Romana nel cessato Governo Pontificio, che nel 1871 istituì il primo Campo Sperimentale che poi verrà riportato in auge negli anni 30 dall’O.N.C. nell’ambito dell’appoderamento dell’Agro Pontino. Agli inizi del 900, l’economia agricola del centro Italia era ancora governata da rapporti di mezzadria con norme di stampo semifeudale e solitamente in questi contratti, il proprietario concedente e il coltivatore mezzadro, si dividevano a metà i prodotti e gli utili dei terreni offerti in concessione. Quelli erano anche gli anni legati soprattutto ai programmi igienici e di bonifica delle insalubri aree del territorio romano e pontino. Successivamente gli originari obiettivi di indirizzo naturalistico furono abbandonati, a favore di un più ampio progetto di urbanizzazione rurale finalizzato alla trasformazione fondiaria delle terre ed all’incremento della piccola e media proprietà. L’organismo scelto come responsabile per la conclusione dell’impresa fu l’O.N.C. Per quanto riguarda l’appoderamento si fece ricorso ad un’unità poderale media di 20 ettari, dai 10-12 Ha per i terreni più fertili della Via Appia, ai 24-25 Ha in quelli più poveri situati verso il mare. Per poter provvedere all’assistenza tecnica e finanziaria dei coloni, fu costituito un Centro Aziendale per ogni cento case coloniche.I vari tipi di case non differivano molto tra loro sia per numero che per capacità di ambienti. Nel 1942 si passò dal regime di mezzadria a quello dell’assegnazione definitiva dei poderi a riscatto. A seguito degli eventi bellici sopra accennati, mentre le sorti del conflitto volgevano al termine, le acque tornarono ad invadere il territorio così le case coloniche abbandonate, color “celeste dei Savoia” restarono a riflettere capovolte. La successiva ricostruzione avviata all’indomani della liberazione, fu garantita tramite la direzione tecnica dell’Opera. Gli interessati beneficiarono quindi di un contributo a fondo perduto per il ripristino delle case coloniche distrutte o gravemente danneggiate.
La trasformazione industriale degli anni sessanta, il processo di terziarizzazione, l’affermazione di nuovi modelli di consumo e soprattutto la frammentazione della proprietà rurale, insieme alla mancata attuazione di politiche di pianificazione, sensibilizzazione e salvaguardia, hanno fatto registrare una prolificazione di incontrollate trasformazioni che purtroppo hanno interessato i caratteristici insediamenti rurali pre e post bonifica e le case coloniche dell’O.N.C. mediante rimaneggiamenti incompatibili con gli originari caratteri architettonici e formali. Il triste primato è tutt’oggi visibile ai nostri occhi, una parte di questo patrimonio storico dell’Agro Pontino è andato irreversibilmente perduto, mentre i diversi edifici della bonifica, reduci delle attuate devastazioni, testimoni di una gloriosa pagina storica della nostra Città, restano lì abbandonati al proprio annunciato misero destino. L’interesse alle proprie tradizioni storiche, viene percepito per lo più dalla politica, come un fastidioso e svantaggioso impegno da rimuovere alla prima occasione. E’ pur vero che se il grado di civiltà di una comunità si misura con la capacità di attenzione al recupero, valorizzazione e riqualificazione del proprio territorio, il risultato che ne scaturisce si contorna di una desolante mediocrità.Oggi i Comuni grazie a specifiche Leggi, possono promuovere iniziative e progetti integrati mediante accordi di programma finanziati dalle rispettive Regioni, finalizzati alla realizzazione di un piano di intervento indirizzato alla tutela, recupero e valorizzazione delle architetture rurali che potranno inserirsi nell’ambito di uno sviluppo turistico sostenibile del nostro territorio. Animati da un pur contenuto ottimismo, riteniamo che tutto non è ancora perduto e ai nostri amministratori, quelli più illuminati, chiediamo con un sussulto di orgoglio di raccogliere la sfida, perché noi saremo con loro, consapevoli di poter fornire un sinergico umile contributo allo sviluppo del nostro caro territorio.
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