“LE ORME DEL PETTIROSSO”: IL LIBRO DI PASQUALE CARBONE
di Giovanni Berardi
Il territorio pontino è davvero prodigo di talenti creativi. Ultimo in termini di apparizione, Pasquale Carbone, che ha mandato alle stampe il suo primo libro, “Le orme del pettirosso”. Una vita da “mezzemaniche” in forza alla sede Uttat del Ministero della Difesa a Nettuno, una volta approdato alla pensione ha scoperto il talento e la vena artistica attraverso la scrittura. “L’ombra del pettirosso” è il suo primo titolo e Pasquale Carbone ne parla proprio con l’entusiasmo e la felicità assoluta del debuttante. “Un autore di solito scrive un libro su ciò che lui stesso vorrebbe leggere” dice Pasquale Carbone. Questo dunque è uno dei motivi perché Carbone è partito proprio dalla sua esperienza personale, riuscendo a licenziare alla fine un romanzo che, se vogliamo, aggiunge anche delle righe sulla storia di questo paese, nella fattispecie anche di questa provincia pontina. Le storie che poi Pasquale Carbone ha portato entro la grammatica del suo libro hanno avuto un riscontro anche nazionale: il settimanale Chi (così come pure il settimanale Grand Hotel) ad esempio, diretto da Alfonso Signorini, ha messo in evidenza un episodio de “Le orme del pettirosso”, un episodio che vede trattato addirittura Padre Pio, e che il settimanale ha voluto titolare come “il miracolo sconosciuto di Padre Pio a Nettuno”. “Le orme del pettirosso” ha un taglio letterario stilato in venticinque racconti, cinque dei quali sono dedicati a manifestazioni inedite ed attuali che vedono al centro Padre Pio e tre invece riconducono alla storia ed alla presenza “avvertita” di Santa Maria Goretti. Dice Pasquale Carbone: “ho sentito parlare per la prima volta di Santa Maria Goretti quando avevo sette anni. L’occasione era stata una gita organizzata per visitare proprio l’agro pontino, in modo particolare Latina, che allora tutti chiamavano ancora Littoria, e Nettuno. I paesani erano particolarmente legati alla campagna romana e alle terre pontine proprio per aver lavorato come braccianti nei poderi dei latifondisti e nelle opere di bonifica. Alla gita mi portò nonna Maria e ricordo che volle portarmi proprio per farmi visitare la tomba di Santa Maria Goretti”. Da funzionario del ministero della Difesa, un lavoro naturalmente sempre dettato da regole e da protocolli ben stabiliti e precisi, alla stesura del libro, quale il percorso che ha accompagnato? Dice Pasquale Carbone: “è come se aspettavo da sempre tale momento. Forse negli anni giovanili non ho mai avuto il coraggio, e lo dico tra virgolette, di prendermi la responsabilità di portare a termine addirittura la stesura di un libro. Amo molto leggere ed ho sempre amato scrivere e la scrittura mi ha sempre fatto compagnia nei momenti di disagio e di solitudine che ho vissuto in passato. Quindi prima di rischiare in questa scelta della scrittura, volevo esserne davvero sicuro. Questo romanzo mi è costato due anni di vita ed è stato complicato metabolizzarlo. E’ un percorso umano ma è anche la ricostruzione di una speranza”. Pasquale Carbone ha iniziato a scrivere “Le orme del pettirosso” qualche mese prima dello scoppio della pandemia e tra molte difficoltà è riuscito a terminarlo dopo oltre un anno di lavoro. Il volume di duecentotrentacinque pagine contiene venticinque racconti e settanta fotografie. Pasquale Carbone poi ha realizzato personalmente i disegni a mano della copertina e della sovra copertina curandone anche l’impaginazione e le foto. Certo è che Pasquale Carbone è un talento che si confonde anche con la fede più assoluta perché il suo “Le orme del pettirosso” raggiunge, proprio in profondità, un territorio mistico, un territorio che diventa finanche, e questo sin dalle prime pagine, un grido di ribellione interiore che raggiunge, e ci convince, da parte dell’autore, una incondizionata libertà psicologica, una libertà che, in qualche maniera, riesce a trasmettere persino ai lettori. “Le orme del pettirosso” è un libro, come ama ricordare Pasquale Carbone, “che fa parlare i fatti”, che testimonia anche e fino in fondo come Pasquale Carbone sia in pace oggi con il creato e con la scoperta del valore del sacro. Una copia de “Le orme del pettirosso” è stata donata dall’autore anche a Papa Francesco. Lo stesso Pontefice si è poi adoperato affinché fosse recapitato a Pasquale Carbone il suo biglietto di apprezzamento dell’opera. Dice Pasquale Carbone: “la storia di un prodigio di Padre Pio, che racconto in uno dei capitoli del libro, è avvenuto a Nettuno, ed il segno che ha lasciato (una macchia inspiegabile di umido che ha le inequivocabili fattezze della Madonna comparsa su un quadro custodito a casa Carbone) è stata oggetto di una intervista giornalistica che il settimanale Chi, diretto da Alfonso Signorini, e poi il settimanale Grand Hotel, hanno voluto rendere pubblica”. Una domanda infine a Pasquale Carbone: quale è l’emozione dello scrittore, che del tempo andato, che è poi il motivo massimo de “Le orme del pettirosso”, riesce poi a ritrovare un tempo ancora da percorrere? Dice Pasquale Carbone, non senza un tatto filosofico: “è la gioia di vedersi fiorire sotto le dita una vita, che è stata vera e che resta vera, una vita che commuove e questo anche attraverso le ferite, gli acciacchi, le ossa rotte. Una vita che oggi riesce quasi a rigenerare un mondo”. Questa è una gioia tua, vero Pasquale? “Si, certo, ma è anche la gioia dello scrivere” risponde Pasquale Carbone.
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