MARCELLO COLIZZI A LAVINIO: MEMORIE DI UN ARTE CANCELLATA
Giovanni Berardi
Il regista Fabio Micolano ci raggiunge con le sue telecamere, i suoi grandangoli ed i suoi cavalletti. Siamo a Lavinio, dietro la grande distesa del parco di Tor Caldara. Un venticello particolare sembra accompagnarlo nell’assolato pomeriggio di agosto, un venticello in cui indovini anche un profumo d’acqua, solo a due isolati, in fondo, insiste appunto il bellissimo mare di Lavinio, un mare che dalla via Ardeatina di Anzio sembra raggiungere e penetrare il bosco di leccini, enorme, della vicina Tor Caldara, patria di bellissimi aironi, di testuggini, di odorosissimi asparagi selvatici e di funghi. Marcello Colizzi, uno dei più grandi cartellonisti italiani del cinema, gli uomini delle emozioni sui muri, vive a Lavinio ormai da venti anni, da quando cioè la necessità di lavorare stabilmente a Roma era venuta meno. L’idea del regista Fabio Micolano è quella di realizzare finalmente un documentario dove testimoniare l’arte di questi grandi illustratori del cinema. Ha girato per questo tutta l’Italia per incontrarli, ed il territorio pontino in questo senso è persino una terra foriera perché al suo interno vivono stabilmente altri geniali autori del cinema raccontato con il pennello, come Giuliano Nistri ad Anzio ed Enzo Sciotti a Cisterna. Marcello Colizzi ha lavorato nel cinema per oltre quarant’anni, ha cominciato giovanissimo, quando i funzionari della Paramount, la grandissima casa di produzione americana, in trasferta a Roma per la distribuzione dei loro film, vennero folgorati da alcuni suoi quadri. Nascono così, subito dopo, i manifesti pubblicitari di film ormai entrati nella storia quali Mezzogiorno di fuoco, I magnifici sette, Lawrence d’Arabia, Sansone e Dalila, I cannoni di Navarone, Questo pazzo, pazzo, pazzo mondo, La strana coppia, i manifesti oltremodo mitici dei films di Elvis Presley e Jerry Lewis, una esplosione di colori vivaci, testimonianza di tempi felici che andavano dalla fine degli anni cinquanta alla metà degli anni sessanta. La produzione italiana certamente non rimase insensibile all’ arte di Marcello Colizzi, l’artista pittura quindi i manifesti de Il sorpasso per Dino Risi, quelli de La voglia matta per Luciano Salce, quelli de Il Decameron per Pier Paolo Pasolini. L’elenco dei film pitturati sarebbe ora interminabile, le opere pittoriche che il maestro Colizzi ha creato per il cinema italiano e per quello internazionale sono oltre trecento, molte di queste si sono stampate per sempre nella memoria collettiva del pubblico, pensiamo ai bicipiti degli erculei italiani, Maciste, Ursus e Sansone e ai tantissimi western all’italiana. La funzione promozionale del manifesto, in quelle stagioni, come ricorda Colizzi, restava davvero insostituibile, alcune emozioni ed informazioni non potevano essere comunicate assolutamente attraverso altri mezzi. Dice Colizzi: “oggi la situazione è decisamente cambiata, la mano del pittore oggi non c’è più, al suo posto c’è un gelido computer ed un operatore…” . La vena artistica Marcello Colizzi l’ha ereditata dal padre, Gioacchino Colizzi, in arte Attalo, che fu tra i fondatori del giornale umoristico romano degli anni cinquanta Il Marc’Aurelio, e creatore, tra molte altre, di mitiche maschere romane come Genoveffa la racchia e “Gigi il bullo”. Il Marc’Aurelio fu, tra l’altro, una fucina autentica di talenti, molti sfociati in seguito nel cinema, creatori dell’illustre movimento culturale cinematografico della commedia all’italiana: Ennio Fliano, Federico Fellini, Furio Scarpelli, Agenore Incrocci, Steno, Vittorino Vighi, Ruggero Maccari, Marcello Marchesi, Vittorio Metz, Ettore Scola, tutti giganti della scrittura e del disegno umoristico. Dice Marcello Colizzi: “non ricordo bene quale effettivamente fu il primo manifesto che ho disegnato per il cinema…”, il tanto tempo trascorso non lo aiuta certo a precisare quale, “…ma penso sia uno della serie di Re Artù, oppure uno dei primissimi King Kong…”. Marcello Colizzi iniziò a lavorare nello studio professionale d’arte e fotografia di Ercole Brini, furono solo pochi anni, ma come spesso accadeva in quell’epoca, soprattutto con i lavori del cinema, molti manifesti realizzati personalmente da Colizzi venivano firmati generalmente dallo studio. E si tratta certamente di un ulteriore vasto patrimonio artistico personale disperso nel generico. Al ricordo di ciò Colizzi sembra sprofondare nel divano di casa (Fabio Micolano con la sua telecamera consacra il momento di disagio e dispiacere), scuote la testa, ansima in un soprassalto che sembra liberatorio. In giro per casa poi ci scopre la sua mostra personale, anche i marchi ormai classici di presentazione dei circhi di Moira Orfei e di Darix Togni sono disegni suoi, e poi alcuni libri di fiabe per bambini che ha illustrato con la sua arte, Pollicino, anche un Pinocchio riscritto nell’era tecnologica, certamente uno dei suoi ultimi lavori. Oggi, ormai in pensione, Marcello Colizzi, nella quiete della sua casa di Lavinio, si dedica con amorevole cura agli animali, possiede, ammaestrandoli, oltre cinquanta tra canarini e pappagalli e due magnifici cani, oltre ad una corte di gatti che restano adagiati e tranquilli nell’accogliente giardino. Il tramonto su Lavinio è sceso da tempo, con lui l’ora di salutare il maestro e la sua ospitale famiglia. Il documentario che Fabio Micolano sta girando, quelle che sono in fondo le memorie di un’arte cancellata, andrà proprio a colmare e a raccontare tutte queste atmosfere evocate dai ricordi di Marcello Colizzi e che noi, in qualche maniera, abbiamo avuto anche il privilegio di presenziare e sottolineare, momento che certamente abbiamo assolto con assoluto pudore.
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