“MEGLIO DI IERI”: IL LIBRO DI LAURA BOLDRINI
di Giovanni Berardi
I viaggi sono i ricordi che Laura Boldrini ama sempre conservare. “La voglia del mondo” come li chiama e sono viaggi che davvero l’hanno portata ovunque nel mondo: in Venezuela, a Panama, in Nicaragua, in Costa Rica, India, Messico, Stati Uniti, Tibet, Sud Est Asiatico, Bosnia, Albania, Kosovo, Pakistan, Afghanistan, Sudan, Caucaso, Siria, Angola, Zambia, Iran, Giordania, Tanzania, Ruanda, Burundi, Sri Lanka, viaggi che poi Laura Boldrini ha vissuto condividendone davvero le gioie, i drammi, le culture, le educazioni e in qualche caso il lavoro. Scoperte e condivisioni che certamente l’hanno forgiata poi per espletare al meglio le funzioni della sua brillante carriera internazionale, prima di votarsi alla politica più pura. L’episodio aberrante di Latina invece è il ricordo che vuole immediatamente cancellare, la giornata a Latina che aveva anche un profondo valore istituzionale, da Presidente della Camera dei Deputati, chiamata a Latina proprio per inaugurare il parco Falcone Borsellino, voluto dall’amministrazione comunale della città, una venuta nel capoluogo pontino tra l’altro annunciata anche attraverso una aprioristica contestazione violenta, messa in atto da frange di opposizione alla politica del comune pontino. Spiega Laura Boldrini, quasi a volere troncare immediatamente il discorso: “il ricordo che mi è rimasto di Latina sono le tante mani alzate che inneggiavano al Duce”.
La candidatura di Laura Boldrini alla Camera dei Deputati d’altra parte era venuta da un politico speciale, Niki Vendola, uno degli ultimi veri leader della sinistra italiana, così come speciale era anche la motivazione che Niki gli aveva offerto: “propongo alla presidenza della Camera dei Deputati la portavoce della Agenzia dell’Onu per i rifugiati, Laura Boldrini, perché ritengo di sinistra la sua attività. Semplicemente”.
Laura Boldrini ha presentato in questi giorni il suo libro più sentito e toccante, “Meglio di ieri”, edito dalla Piemme Editori a cui ha affiancato un sottotitolo tra i più espliciti della storia editoriale,“la malattia e quella inguaribile voglia di guarire”. Il libro, anche con la forma della poesia, ripercorre i momenti della malattia, che per i più certo sono da dimenticare, ma per un animo sensibile come quello di Laura Boldrini sono invece da raccontare, proprio per testimoniare “forza, coraggio, speranza”. La forza, il coraggio e la speranza appunto, ma anche l’impegno determinato fin da subito, sin dalla prima diagnosi, quella di un condrosarcoma, un tumore osseo raro e maligno, è l’essenza del volume, dove qua e là Laura Boldrini sembra anche “rivendicare” un metodo: filosofico, storico, sociale, politico. Il libro ha tutte queste forze creative messe insieme nel modo di raccontare e nella dimensione poetica scaturita da un animo forte ma semplice e gentile quale è stato in quei giorni, e quale rimane in questi, di Laura Boldrini. Anche se, proprio dall’interno dei movimenti della stessa sinistra Laura Boldrini è spesso criticata, la sua rimane una statura che non disdegna di dire “forti e scomode verità” piuttosto che regalare “slogan retorici”. Ed oggi abbiamo finanche il dubbio che la sinistra politica ad occuparsi dei diseredati abbia ormai lasciato il posto, semplicemente, ad alcune figure, come dire “specializzate”, come è appunto Laura Boldrini, e che tutto questo dal suo libro, attraverso la sua sofferenza, trapela assolutamente. “Quasi un esercizio di delega” sembra scherzare su Laura Boldrini, ma diventa più seria quando aggiunge: “dobbiamo sempre rendere chiaro il concetto: la sinistra dovrebbe stare dalla parte di chi ha più bisogno e quindi deve spendersi politicamente per questo. Se non lo fai perdi la tua identità, la tua natura, la tua ragione di esistere e finisci solo per copiare dagli altri qualcosa che non è tuo, qualcosa che poi ti riesce anche male”. E’ una forza questa, di Laura Boldrini, sicuramente fisica, testarda, nonostante le cure anche invasive subìte, e che si legge immediata e netta tra le pagine di questo suo, come ci ha detto, “ritratto dei giorni più bui”. Una lirica che è commovente, una sensibilità che è trasparente, un ritratto poetico acuto e, come dire, sprizzante una voglia assoluta di testimoniare “siamo tutti uguali”, come è in definitiva il credo politico di Laura Boldrini, sono caratteristiche aggiunte che le pagine, e la prosa sincera del suo libro, riescono ad emergere nella intelligibilità del lettore più attento. E il titolo, così preciso, del tuo libro nasce come? Dice Laura Boldrini: “quando tutte le mattine il professor Gasparini, il chirurgo che mi ha operato, passava con la sua equipe diceva: allora come va oggi? Ed io a rispondergli: bhe meglio di ieri. E lui: sa una cosa, meglio di ieri e peggio di domani è il mio motto. E quindi ho pensato subito, quando mi sono convinta a raccontare questa esperienza, che quel motto doveva essere anche il titolo”. Laura Boldrini è riuscita a vivere la sua drammatica esperienza e a scrivere il suo libro in un contesto poi anche assurdo e drammatico, perché i giorni della sua malattia sono stati contemporanei al grande fenomeno storico abbattuto sulla comunità mondiale già all’alba dell’anno 2020, la pandemia del Covid 19. E proprio in quei giorni, era il 9 marzo del 2020, il parlamento di cui pure Laura Boldrini era ancora una componente autorevole, decreta il lockdown più duro e il conseguente “ordine” al popolo: quello di rimanere a casa. E si entrava pragmaticamente ma celermente dentro una situazione di terrore collettivo, una situazione descritta quasi perfettamente da un netto capolavoro dell’ horror, il film di George Romero “La città verrà distrutta all’alba”, ma anche da un più prosaico film italiano, quell’ “Incubo sulla città contaminata”, girato per gli schermi dal più umile Umberto Lenzi.
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