ROBERTO BONINSEGNA: IL MITICO BONIMBA E QUELLA SERATA AL CIRCEO
di Giovanni Berardi
Al Circeo il calciatore Roberto Bonisegna si è raccontato. Cagliari, Inter, Juventus, la mitica nazionale che nel 1970 in finale ha sfidato il grande Brasile di Pelè. Struggenti ricordi insomma e tutti accarezzati da applausi sinceri di un pubblico felice. Eravamo contenti davvero di essere al cospetto di un mito del grande calcio, di un calcio effettivamente ancora non completamente piegato e contaminato al valore assoluto del denaro. Intanto il nomignolo di Bonimba per Bobo Boninsegna l’aveva coniato un giornalista scrittore che ha raccontato e spiegato il calcio come pochissimi: Gianni Brera. Di Gianni Brera anche i nomignoli dati a Gianni Rivera, che definì l’Abatino e a Gigi Riva che apostrofò come Rombo di Tuono. Gianni Brera è stato il narratore di un calcio ancora dedito al semplice motivo dello sport ed ha raccontato il calcio come davvero dovrebbe essere, una fiaba, anno dopo anno, dagli anni sessanta fino ai primissimi degli ottanta. E per questa ragione il nome di Gianni Brera, nella lunga chiacchierata con Roberto Boninsegna, ha fatto capolino tante volte. E non lo scopriamo certo oggi: il calcio ai tempi del bomber Bonimba aveva un fascino che oggi non ha più. Il famigerato denaro ha ormai invaso il terreno di gioco ed ha reso “il giocattolo” quanto di più odioso e di più distaccato anche dal contesto umano più piacevole. Diciamolo subito che quando sui campi di calcio giocava Roberto Boninsegna l’aspetto più importante era lo sport, oggi invece l’aspetto più importante è solo quello economico, quindi il calcio è proprio cambiato da quei tempi. Lo stesso Boninsegna ha ammesso che, pur avendo raggiunto un moderato benessere, non è certamente diventato un riccone, come si possono invece considerare oggi i calciatori attuali. Racconta Roberto Boninsegna, proprio a confermare: “purtroppo si, onestamente noi, pur giocando in serie A ed in squadre di un certo livello, certe cifre, quelle che sentiamo proporre oggi, non le abbiamo mai raggiunte, anche se, tra ingaggi e premi partite potevi raggiungere facilmente il benessere, ma solo quello, senza strafare. Ma un po’ tutte le cose, mi pare di capire, quando cambiano, invece di cambiare in meglio cambiano in peggio. E adesso, in questo versante, stanno davvero esagerando. Però posso dire che la colpa non è dei giocatori, è piuttosto di chi offre e distribuisce tutti questi soldi. Oggi, in questo calcio malato, ci sono personaggi che sembrano fare un buco per terra e poi fanno uscire miliardi di petrolio”. Insomma, aggiungiamo noi, forse non è nemmeno il denaro il vero problema, probabilmente il vero problema è non avere un progetto riguardo a questi cambiamenti così folli. Ma andiamo sul versante delle emozioni, che è un po’ il linguaggio più consono allo spirito dello sport. Dice Roberto Boninsegna: “tra quelle personali certamente il gol del pareggio, segnato nella finalissima contro il Brasile in Messico, un gol che ci aveva aperto finalmente lo spiraglio della speranza. Ma quel Brasile là era davvero imbattibile. Un’altra emozione per me, per come intendo lo spettacolo del gioco del calcio, è avere visto all’opera formidabili atleti, Pelè in primis è stato il più grande, con il pallone in campo era capace di tutto, Pelè era davvero il calciatore più temuto e rispettato. Altre grandi emozioni poi me le hanno date campioni come Crujff, Overath e Mazzola”.
E al Circeo Roberto Boninsegna ha avuto il destro poi per poter chiarire alcuni aspetti della sua carriera, come il rapporto ad esempio con Ferruccio Valcareggi, commissario tecnico della nazionale vice campione del mondo nel 1970. Dice Roberto Boninsegna: “mai stati buoni i rapporti con Valcareggi. Ricordo che in preparazione del mondiale in Messico, Ferruccio Valcareggi pur convocandomi, per le tante partite amichevoli, non mi ha fatto mai giocare una partita, nemmeno pochissimi minuti, nemmeno quei minuti che erano un po’ il tempo per poter salire anche nel curriculum delle presenze in nazionale. E quando poi gli hochiesto il perché di tutto questo, visto che in quella preparazione erano scesi bene o male tutti i convocati
ma io mai, lui mi ha risposto nella maniera più gelida possibile: “cosa vuoi farci, sono cose che capitano”.
E quando uscì l’elenco dei convocati per il mondiale in Messico il nome di Roberto Boninsegna non eracompreso in quella lista. Fu un malore, capitato a Pietro Anastasi, che fino ad allora era il centravanti titolare della nazionale, un attacco di appendicite sfociato in peritonite e che aveva causato il naturale forfait dell’attaccante juventino a decidere il destino di Boninsegna di far parte del gruppo dei ventidue.
Dice Roberto Boninsegna: “si, infatti ero stato escluso dalla lista dei giocatori da portare al mondiale in Messico”. Ma la realtà per Bonimba doveva andare proprio diversamente. Ed infatti solo dopo un giorno dalla partenza dei ventidue, per il forfait di Anastasi, arrivò in casa Boninsegna, proprio in piena notte, una prima telefonata che nel dormiveglia Bonimba non era riuscito nemmeno a decifrare al meglio. La moglie a ripetergli: “dai Roberto, è troppa la tua voglia di essere in Messico che questo squillo del telefono te lo sei sognato”. Ma invece, come ha detto Roberto “era tutto vero, perché dopo, in piena mattinata, il telefono riprese a squillare”. Insomma Roberto Boninsegna era stato convocato per sostituire Pietro Anastasi. Dice Roberto Boninsegna:“feci tutto di corsa quella mattina e proprio al volo presi un aereo.
Il bello è che trovai in partenza anche Pierino Prati ed allora il pensiero dominante è stato che sicuramente, appena messo piede in Messico, sarei ritornato indietro perché i convocati per il torneo mondiale non potevano essere ventitre ma bensì ventidue e con Pierino Prati il limite del numero di lista veniva superato.
E con Ferruccio Valcareggi in panchina pensavo che il mio destino era davvero segnato. Ed invece no, perchè mandarono a sorpresa a casa il povero Lodetti. Insomma il team tecnico della nazionale aveva preferito una punta in più ed un centrocampista in meno”. E Roberto Boninsegna conquistò subito il posto di centravanti titolare in quella formidabile formazione che resta ancora oggi epica e storica e che, nelle notti del Messico, ha fatto sognare l’Italia intera: Albertosi, Burnich, Facchetti, Bertini, Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva. E con il mitico Gianni Rivera pronto a sostituire Sandro Mazzola in ogni secondo tempo, tranne che nella finalissima con il Brasile, dove a Gianni Rivera, chissà perché, riservarono solo i sei “inutili”, “storici”, fatidici minuti.
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