TRENT’ANNI FA LA MORTE DEL REGISTA NANNI LOY: QUEL GIORNO DI QUALCHE ANNO FA CON NINO MANFREDI, A RICORDARE IL REGISTA
di Giovanni Berardi
Nanni Loy era davvero convinto: “l’avvenimento culturale più importante del secolo ventesimo è la commedia all’italiana”. E aggiungeva: “la commedia all’italiana è anche l’unico genere tipico del cinema italiano, inventato e prodotto dalla nostra cinematografia. E questo senza aver mai sofferto di imitazioni significative di cinematografie straniere”. Da parte nostra un’altra domanda a Loy: questo perché non erano in fondo capaci di mantenere i nostri ritmi e i nostri tempi comici e drammaturgici?: “Esattamente” rispondeva Nanni Loy. Poi nel proseguo della chiacchierata Nanni ci teneva ad osservare che ciò, che lui chiamava “fenomeno”, era datato però ad un determinato periodo, anche breve se vogliamo “appena due decenni” osservava “dalla fine degli anni cinquanta alla metà degli anni settanta circa”. Dopo, secondo Loy, la commedia all’italiana sarebbe stata sostituita da “Fantozzi” e dalla sua saga. Ma non era più la stessa cosa, “cioè era una cosa grande anche “Fantozzi”, ma ripeto, non era la stessa cosa”. E con questo poi ci teneva
a dire che i suoi film venuti dopo, “Cafè Express”, “Scugnizzi”, “Mi manda Picone”, “Pacco, doppio pacco e contropaccotto” non appartenevano più al filone della commedia all’italiana, e questo pur mantenendone attivi tutti i vincoli e tutti i materiali possibili della commedia all’italiana. Ma restano piuttosto prodotti ibridi, molto amati certo, ma esclusivamente altro rispetto alla identità primaria della commedia all’italiana. Una domanda quindi avevamo rivolto a Loy sul tramonto, ormai chiaro e avviato, della grande tematica della commedia all’italiana e la risposta di Loy era stata altrettanto chiara e netta: “questo che stiamo attualmente vivendo è un periodo di transizione fra una società ed un’altra. Il contesto politico è cambiato. Anni fa questo contesto era assolutamente chiaro e preciso: la Democrazia Cristiana, la Chiesa, la Scuola, la Destra, il potere militare. Oggi invece tutto intorno è ambiguità, le carte sono mischiate, il partito Comunista fa quasi parte della coalizione e noi siamo in una posizione in cui ci domandiamo: da quale parte stiamo? Non si riscontra quella ideologia ben precisa perché poi i film e le storie abbiano quella sostanza che li può rendere attraenti. Oggi l’opposizione non esiste praticamente più”. Poi Loy ci aveva rivelato che in verità qualcosa ancora poteva esserci e che il momento storico poteva ancora suggerire: “un film in testa che vuole indagare il momento, ma non ne riesco, anzi non riusciamo a coglierne il bandolo della matassa, è una storia che mi suggerisce Manfredi e che parte dalla penna dello sceneggiatore Tullio Pinelli. Ma nemmeno Pinelli mi pare che ormai ha le idee ordinate”. Fin qui Nanni Loy. Personalmente ero molto amico di Nino Manfredi e di quel momento sorto tra l’attore e lo sceneggiatore Pinelli ne sono stato un effettivo testimone. Era l’anno 1990, Manfredi era in una giornata di pausa dalla lavorazione del film “In nome del popolo sovrano”, che in quei giorni stava girando per la regia di Luigi Magni. Ero capitato lì un pomeriggio, proprio nel bel mezzo di una discussione su un progetto di sceneggiatura di un film che Pinelli e Manfredi volevano girare insieme. Alla regia doveva trovarsi Nanni Loy, almeno così Manfredi auspicava e, in un certo senso, pretendeva. Tullio Pinelli ripeteva che il nome del regista in quel momento era l’ultimo dei problemi, anzi non era assolutamente il problema. Ecco, un tempo i film, i bei film, nascevano anche così, si discuteva animatamente, e per ore, forse anche intere giornate persino la scelta del regista. Il grande attore, in questo caso Nino Manfredi, proponeva il suo regista, quello a lui più congeniale, almeno in quel periodo storico, gli sceneggiatori, quelli molto coinvolti nei progetti, pensavano ad un altro, anche il produttore aveva il suo nome di fiducia, così come pure i distributori. Ed i grandi film nascevano anche tra queste discussioni sui nomi, e non sorprendeva affatto che la discussione scoppiasse tra l’attore ed uno degli sceneggiatori perché il cinema della grande tradizione della commedia all’italiana, congeniale a Nino Manfredi, così come ad Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Alberto Sordi era proprio il cinema degli attori e degli sceneggiatori, pensiamo tra questi ad Age, Furio Scarpelli, Rodolfo Sonego, Piero De Bernardi, Leo Benvenuti, Ruggero Maccari. La sceneggiatura, già in avanzata fase di preparazione, che era all’origine della discussione tra Manfredi e Pinelli, in realtà non è stata più realizzata. Ricordo che il soggetto voleva tratteggiare, molto ironicamente,
il movimento della Lega Lombarda, in fermento in quei fine anni ottanta, i suoi elettori ed il suo senatore Umberto Bossi. E quando poi avevo domandato a Loy se si poteva raccontare, oggi, cinematograficamente, un personaggio politico in ascesa, come era in quegli anni Silvio Berlusconi, lui mi aveva risposto: “si, oggi potrei benissimo immaginarmi un film su Berlusconi. Non lo voterò, non mi piace e tutto mi separa da lui, ma potrei trovarne un nesso, un origine, persino comprenderlo forse”. Ed io ancora a domandare: “Nanni, hai allora in progetto un film su Berlusconi? E lui a rispondermi: “ma non certo ora. Bisogna storicizzare un po’, ma la sua biografia è una naturale produttrice di immagini”. Con Manfredi poi ho sempre condiviso una verità che riguarda Nanni Loy, un’opinione sulla sua grandezza di regista perché davvero Nanni è stato un regista
esemplare per correttezza, per simpatia, per doti umane. Loy è stato un regista che assolutamente in tutta la sua carriera ha dovuto fare i conti sempre al centesimo tra le esigenze del produttore e le sue aspettative di autore. I suoi film in questo senso sono quasi sempre stati la sintesi perfetta e la bilancia di questi contrasti:
per poter fare “Un giorno da leoni”, il suo film, ha dovuto girare prima “Audace colpo dei soliti ignoti” per il produttore, per poter fare “Il padre di famiglia”, il suo film, ha dovuto girare prima “Made in Italy” per il produttore, per girare il suo “Cafè express” ha dovuto prima dirigere per il produttore gli episodi di “Basta
che non si sappia in giro” e di “Quelle strane occasioni”, per poter girare il suo “Mi manda Picone” ha dovuto girare per il produttore “Testa o croce”. Che poi, assolutamente, anche i film girati per il produttore sonorisultati film sempre gradevoli, brillanti, realizzati con mestiere, passione e storia relativa del cinema non
ci piove, ma sono sempre stati dazi pagati da Loy per poter realizzare davvero le opere in cui credeva di più. E il giorno in cui, proprio di sfuggita, ho incontrato Loy che di fretta scendeva le scale del Vittoriano, proprio di corsa sono riuscito appena a domandagli: “e allora Nanni,“Pacco, doppio pacco e contropaccotto” è stato il film del produttore, il tuo prossimo invece?” … e lui sorridendo a rispondere: “ah, conosci il miopercorso. Ionesco diceva che solo le parole contano, il resto sono tutte chiacchiere. E le parole assieme ai fatti e alle idee saranno il mio prossimo lavoro nel cinema …”. Un film naturalmente mai fatto, forse nemmeno scritto perché Loy, da lì a qualche mese, morì in vacanza a Fregene nella piena estate del 1995.
Nanni Loy è stato un regista che è andato a toccare con i suoi film più veri, certamente, le piaghe della nostra società e fare i conti con il suo cinema può significare, ancora oggi, fare i conti con i problemi reali, quotidiani, netti, e questi poi resi molto più brucianti dall’attuale indietrismo. Le commedie di Loy hanno lo stesso spessore di sgomento e di tragedia che davvero avevano i film del neorealismo migliore. Aveva proprio ragione da vendere Nanni Loy quando riteneva che le sue pellicole erano tutte ben salde sul terreno del Neorealismo cinematografico.
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